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2006/09/22

Password di Word bucate a colpi di disco rigido, rinforzatele

Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "luisamaif****" e "franzdh". L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale: alcuni commenti si riferiscono a versioni precedenti.

Se usate ancora password a 40 bit, per esempio in Word, vi conviene passare alle password a 128 bit. Quelle da 40, infatti, si scoprono in pochi secondi usando una tecnica degli anni '80 che grazie al crollo dei prezzi dei dischi rigidi è passata dalla teoria alla pratica. E anche le password un po' più toste, se non vengono usate con attenzione, sono soltanto questione di tempo. Poco tempo.

Il Sydney Morning Herald intervista Christian Stankevitz, un esperto della Neohapsis, ditta statunitense specializzata in consulenze sulla sicurezza informatica, e Pieter Zatko, che qualcuno ricorderà come uno degli autori del mitico programma L0phtcrack che si usava appunto per scoprire le password altrui (e per verificare la robustezza delle proprie).

Stankevitz e Zatko decifrano le password per lavoro (collaborano con governi e forze di polizia) adoperando un metodo descritto a livello teorico per la prima volta negli anni 80 e noto come rainbow table. Per ovvie ragioni, i computer non memorizzano le password in chiaro, altrimenti sarebbe sufficiente sapere dove si trova il file contenente le password e leggerle: le conservano in forma cifrata (hash). Semplificando, le rainbow table sono delle immense tabelle precompilate di equivalenze fra password in chiaro e password cifrate.

Quando si deve scoprire la password che protegge un file o un computer, si prende la versione cifrata della password (custodita nel file o nel computer in questione) e la si confronta con le voci di queste tabelle fino a che si trova una corrispondenza. Una volta trovata, risalire alla password in chiaro è banale.

Con le rainbow table, il tempo necessario per decifrare per forza bruta una password di un file Word, per esempio, è crollato da una media di 25 giorni a pochi secondi. Si bucano altrettanto rapidamente le password di Windows e delle vecchie versioni di Acrobat (ma non di quelle nuove).

L'unico difetto di questa tecnica è che richiede una quantità spropositata di spazio su disco (qualche terabyte) per memorizzare le tabelle precalcolate che le consentono di essere così veloce rispetto ai metodi tradizionali che effettuano i calcoli sul momento, durante il tentativo di cracking (decifrazione).

Ma i prezzi dei terabyte di memoria sono sempre più bassi, per cui un computer in grado di decifrare una password a 40 bit costa oggi qualche migliaio di euro: più che alla portata di un gruppo criminale organizzato e ovviamente delle forze dell'ordine.

Neohapsis consiglia di passare alle password a 128 bit lunghe almeno 12 caratteri per i documenti e i computer contenenti informazioni riservate e delicate, ma soprattutto di non usare la medesima password per situazioni differenti. Il lavoro del detective informatico (o del criminale), infatti, non è pura forza bruta: l'astuzia gioca la sua parte.

Per esempio, se la vittima cifra una stessa password sia con funzioni a 128 bit sia con funzioni a 40 bit, è inutile perdere tempo con quelle a 128: si va dritti a quelle a 40 e si decifrano. Inoltre è molto probabile che la vittima usi la medesima password per proteggere più di un documento o computer, per cui trovare una password "debole" apre un varco che facilita il lavoro sulle password più robuste.

Esistono delle tecniche di difesa contro questi assalti: la più diffusa è l'aggiunta del "sale", nel senso di salt, come descritto nella Wikipedia. Si tratta di bit aggiunti alla password cifrata vera e propria, che rendono molto più oneroso il lavoro di decifrazione. Ogni bit aggiuntivo, infatti, raddoppia la quantità di memoria e di potenza di calcolo necessarie per il cracking.

Il problema è che non tutti i programmi utilizzano il "sale" per rinforzare le proprie password: per esempio, lo fa Linux, lo fa Mac OS X (solo dalla 10.4 in poi), ma non lo fanno né le applicazioni in PHP né Windows NT/2000. Quindi basta che l'intruso concentri i propri sforzi su questi programmi e sistemi operativi più vulnerabili per ottenere il primo appiglio, dal quale lanciarsi per trovare le password rimanenti.

Il consiglio, quindi, è di non limitarsi a pensare "ho protetto il documento con una password, sono al sicuro", ma informarsi bene su quanto sia robusta la generazione delle password dei programmi e dei sistemi operativi che si usano, e soprattutto evitare di usare la medesima password in situazioni differenti (mai usare la stessa password per la posta e per la contabilità, per esempio). E' una sfida non banale: ma se avete seriamente dei dati delicati da proteggere, bisogna affrontarla.

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